Scavando negli archivi, l’esperto internazionale di metalli preziosi Koos Jansen ha ripescato un articolo interessante, pubblicato dal quotidiano olandese “NRC Handelsblad” nel lontano 1993, nel quale si affermava esplicitamente che già allora la People’s Bank of China - la banca centrale di Pechino - stava attuando acquisti sistematici di oro fisico in quantità sul mercato londinese.
Un'azione prolungata e condotta, come ben si può comprendere, quasi del tutto sotto silenzio in quanto parte, con ogni probabilità, di un piano strategico di accumulazione a lungo termine e non vincolato a situazioni contingenti come quella vissuta, ad esempio, nei mesi scorsi con lo scoppio della bolla azionaria.
Ben prima che il complesso delle riserve valutarie cinesi e la stessa moneta di Pechino mostrassero segnali di instabilità, costringendo il governo centrale a svalutazioni marcate e forzose per sostenere l'economia del gigante asiatico, dunque, il governo aveva individuato in un 'ritorno all'oro' uno degli strumenti cardine di differenziazione del patrimonio statale con cui far fronte ad eventuali crisi finanziarie.
Jansen ci ricorda del resto come, già nel 1979, venne istituito quello che viene chiamato dagli specialisti del settore 'Chinese Gold Army' ('Esercito dell'oro cinese'), un articolato apparato governativo destinato alla ricerca e allo sfruttamento sistematico dei giacimenti auriferi del grande paese; ciò significa che la People's Bank of China, giè poco dopo la fine dell'era di Mao Zedong, stava gettando in segreto le basi per un ruolo globale di primissimo piano nel mercato del metallo prezioso.
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