In meno di sei mesi, le quotazioni dell'oro sono cresciute di oltre il 12%, facendo passare il prezzo da 1.170 dollari l’oncia agli attuali 1.320. A rivelarlo il report annuale pubblicato dal World Gold Council, l’associazione industriale delle principali aziende aurifere creata nel 1987.
Il report evidenzia come nel 2018, le banche centrali abbiano effettuato acquisti netti per 651,5 tonnellate, mai così tante dal 1971, l’anno in cui Richard Nixon dichiarò che non avrebbe più potuto garantire la convertibilità del dollaro in oro.
L’aumento delle incertezze geopolitiche ed economiche durante l'anno hanno spinto le banche centrali a diversificare le loro riserve e a concentrare la loro attenzione sull'obiettivo principale di investire in attività sicure e liquide, rafforzando quindi le loro riserve auree. E quasi un quinto delle banche centrali ha segnalato l'intenzione di aumentare gli acquisti di oro nei prossimi 12 mesi. Seguendo il trend degli ultimi anni, le maggiori richieste arrivano da una manciata di banche centrali. Prima fra tutte la Russia che nel 2018 ha acquistato 274,3 t, finanziata dalla vendita quasi totale del suo portafoglio di titoli del Tesoro statunitense. A seguire, Turchia e Kazakhstan, hanno registrato acquisti record rafforzando l'importanza dell'oro come risorsa di riserva.
E mentre gli acquisti netti sono stati nettamente in crescita, le vendite nette sono rimaste praticamente invariate durante tutto l'anno. Australia (4.1t), Germania (3.9t), Sri Lanka (2.4t), Indonesia (2t) e Ucraina (1.2t) sono stati i venditori netti più importanti. Complessivamente, le vendite nette hanno totalizzato un misero valore di 15,6 t.