Con questo efficace titolo Alasdair Macleod, dalle pagine del portale “GoldEagle” (leggi qui il testo completo), sviluppa un’interessante serie di riflessioni a metà tra l’analisi macro economica e l’approfondimento storico ed antropologico nel quale l’oro – “sconfessato da keynesiani e monetaristi come effettivo mezzo di scambio/pagamento”, scrive l’autore – si rivela in tutta la sua importanza anche nel pieno del XXI secolo, in un’epoca dominata da finanza virtuale e bilanci statali sempre sull’orlo del default.
L'autore ripercorre episodi cruciali del passato remoto e recente fino a sottolineare come, a dispetto di ogni teoria e modello finanziario ''d'avanguardia'', l'umanità continui, in modo trasversale e in tutto il pianeta, ad attribuire al metallo prezioso un potere di fascinazione così universale da farne un oggetto di tesaurizzazione sistematica sia tra i detentori di grandi patrimoni che tra la gente comune. Dal valore emozionale, quindi, si passa al valore reale, prescindendo dalla latitudine e dalle situazioni contingenti, al punto che alcuni paesi starebbero pensando di ritornare ad una sorta di correlazione diretta tra massa monetaria emessa e riserve auree possedute.
Tra gli episodi recenti nei quali l'oro ha mostrato tutta la sua tenuta come bene rifugio, Macloed ricorda la riforma monetaria che nel 2005 ha visto la Turchia tagliare ben sei zeri alla propria valuta a causa della fortissima svalutazione, con ovvii riflessi sulle finanze dei cittadini, ma con effetti ben meno incisivi su quanti avevano investito parte dei propri risparmi in metallo prezioso. Inoltre, l'autore sottolinea come il livello di sviluppo economico e culturale non incidano sulla tendenza a conservare metallo prezioso: a riprova di ciò, basti considerare quante decine di milioni di famiglie contadine del subcontinente indiano abbiano sviluppato, da secoli, la consuetudine ad accumulare oro sia per 'materializzare' i propri risparmi che per affrontare eventi e circostanze impreviste.