Nato a Bari il 6 gennaio del 1949, Salvatore Rossi entra in Banca d’Italia nel 1976 e, dopo una brillante carriera, dal 10 maggio 2013 ricopre il ruolo di direttore generale con la facoltà di sostituire il governatore in caso di assenza o impedimento.
Per vari anni a capo del Centro Studi di Palazzo Koch, Rossi è anche presidente dell'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) ed ha recentemente dato alle stampe, per i tipi della casa editrice bolognese “Il Mulino”, un volumetto di 132 pagine dall’evocativo titolo di “Oro” (ISBN 978-88-15-27414-4).
Nella “Premessa“ dal sottotitolo “Perchè l'oro?“, Rossi ripropone provocatoriamente quella visione keynesiana che, già nel 1924, definiva il metallo prezioso “un relitto barbarico“. Un qualcosa che tuttavia, da tremila anni, il genere umano associa a concetti come bellezza e valore, ricchezza, risparmio e scambio, addirittura a quello di divinità. Un elemento naturale raro e dalle caratteristiche peculiari (incorruttibilità, lucentezza, rarità) che, ad un certo punto, incrocia una delle più importanti invenzioni umane - il denaro - facendo sì che da questo connubio si generi un sentimento ancestrale, quello della fiducia.
Il libro di Rossi non è tuttavia un trattato storico e filosofico, come non è una pura dissertazione tecnico scientifica sul metallo prezioso per quanto, più volte, emergano dalle fitte pagine del volume sia considerazioni chimico-fisiche, o metallurgiche, sia divagazioni sul ruolo di fascinazione, potere e garanzia ricoperto dall'oro (monetato e non) in tante culture e civiltè. Il direttore generale di Bankitalia intende piuttosto svelare al grande pubblico alcuni passaggi riguardanti le riserve auree italiane (al quarto posto nel mondo per consistenza) nonchè la loro storia e importanza dalla formazione a seguito dell'Unità nazionale e della fondazione della Banca d'Italia, nel 1893, fino ai minimi storici toccati nel periodo fascista, con le ripetute operazioni in difesa della lira.
Giocando un pò (ma sempre dichiaratamente) con la fantasia, l'autore narra le vicende che videro le riserve italiane sfiorare la dispersione in giro per il mondo alla fine delle Seconda guerra mondiale, la loro riassegnazione al nostro paese da parte degli Alleati, il progressivo accrescimento dei quantitativi d'oro nazionali e, infine, la cessione di una parte di essi (141 tonnellate, per l'esattezza) alla Banca Centrale Europea, in vista della creazione della moneta unica.
Moneta che per millenni è stata “sonante“, fatta anche d'argento e d'oro, e che invece nell'Eurozona è sempre stata fiduciaria, ma ben poggiata su cospicue riserve di metallo prezioso sia di pertinenza dell'Eurotower che dei singoli “ex“ istituti di emissione nazionali. Oro che, dal silenzio e dal buio dei caveau, sostiene la valuta e ne moltiplica (come nel caso delle operazioni di Quantitative Easing) il ruolo motore dell'economia. Come sempre è stato, del resto: basta ricordare, ad esempio, quando a seguito dello shock petrolifero, nel 1974 la Banca d'Italia impegnò un quinto delle proprie riserve (41.300 lingotti d'oro per circa 500 tonnellate) a garanzia di un prestito da due miliardi di dollari da parte della Bundesbank. Quattro anni dopo, superata la crisi, l'oro ritornò 'italiano' (in realtà, non si era mai mosso fisicamente dalle 'sacrestie' di Palazzo Koch) e nel frattempo la nostra economica aveva ripreso a crescere.
Oggi, nell'era del denaro di carta e del denaro virtuale, l'oro appare ad alcuni anacronistico. Eppure non viene mai dimenticato affatto da chi cerca un porto sicuro per i propri risparmi. A cominciare dagli Stati e dalle banche centrali, l'oro resta il bene rifugio per eccellenza, perno delle economie e dei sistemi monetari. Ad èOroè di Salvatore Rossi anche Corrado Augias ha dedicato una video rubrica nel sito di 'Repubblica' che potete guardare a questo indirizzo.