Riportiamo, dall’edizione online di “Repubblica” del 67 maggio scorso, un interessante articolo (leggi qui) dedicato alla seconda edizione del volume di Carlo Alberto De Casa dal titolo “I segreti per investire con l’oro”: “La millenaria storia dell'oro è circondata da misteri ed intrighi, spesso irrisolti. Per il suo possesso si sono combattute battaglie, destinate a trasformarsi, in epoche più recenti, in guerre finanziarie. Nel suo nuovo libro, ‘I segreti per Investire con l'oro’ (Hoepli, 246 pagg., 27,90 euro), Carlo Alberto De Casa riparte dalle vicende che hanno segnato la storia recente del metallo giallo“.

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Fra queste vi è senz'altro la trasformazione del London Gold Fixing, in seguito alle accuse di manipolazione dei prezzi che hanno travolto una delle istituzioni più rappresentative della City londinese. Il Fixing, ossia il meccanismo per la fissazione di un prezzo di riferimento per il prezzo mondiale dell'oro, era nato al termine della seconda guerra mondiale. “Per rilanciare il mercato aureo londinese la Bank of England raggiunse un accordo con le principali aziende produttrici di oro dal Sudafrica“ spiega De Casa “fu Rothschild ad occuparsi di ricavare il miglior prezzo sul mercato. Curiosamente il primo London Gold Fixing si tenne il 12 settembre 1919, il medesimo giorno in cui Gabriele d'Annunzio portò a termine la cosiddetta impresa di Fiume“.

Il London Gold Fixing era destinato a durare negli anni, con una sola lunga interruzione per il secondo conflitto mondiale dal 1939 al 1954. Le quotazioni, all'epoca, erano denominate in sterline, ma mantenute in pari con quota 35 dollari l'oncia, la parità di cambio fra biglietto verde ed oro imposta negli Stati Uniti. La situazione cambiò radicalmente sul finire degli anni Sessanta, quando gli operatori iniziarono a scommettere sulla fine della parità aurea con il dollaro.

La caduta di “quota 35 dollari“ segnò l'inizio di un lungo apprezzamento per il metallo giallo. Nel tempo la quotazione pomeridiana del London Gold Fixing sarebbe anche divenuta quella centrale per la fissazione di tutti i contratti legati all'oro. Occupare una delle cinque sedie di questa istituzione significava detenere un potere enorme: per le grandi banche d'affari non era soltanto una questione di denaro - e ne girava parecchio nelle aste del Fixing - ma anche di prestigio. Negli ultimi anni, perè, l'incantesimo si è rotto, in particolare quando è stata messa in dubbio la trasparenza del Fixing.

èDal 2013 in poi si sono succedute una serie di ricerche private ed inchieste da parte del regolatore per verificare la reale trasparenza del Fixing ha spiegato De Casa nel suo libro “quanto è emerso ha invece confermato un'ampia possibilità di meccanismi volti a manipolare il prezzo dell'oro da parte delle banche che ne facevano parte. L'intero sistema ha via via perso credibilità, mentre la concorrenza asiatica è diventata sempre più pressante“.

L'episodio chiave nelle inchieste dell'FCA, la Consob britannica, risale al 28 giugno 2012. Nella seduta pomeridiana di quel giorno Mr. Plunkett, un trader di Barclays, riuscì a manipolare il prezzo di riferimento, con finalità lesive nei confronti del cliente.

Cosa avvenne nel dettaglio? Barclays avrebbe dovuto pagare un premio di 3,9 milioni ad un cliente nel caso in cui il prezzo dell'oro nella seduta pomeridiana di quel giorno fosse stato fissato al di sopra di quota 1.558,96 dollari l'oncia'' spiega De Casa 'Mr. Plunkett era a conoscenza di ciò, tant'è che già la sera prima inviò una mail ai colleghi auspicando una frenata del prezzo per il giorno seguente. Ad inizio asta il prezzo dell'oro viaggiava a 1.562 dollari, dunque al di sopra della soglia che avrebbe fatto scattare il pagamento del premio milionario al cliente. Nei minuti seguenti si registrò una discesa verso 1.555 (indipendente dalle mosse di Plunkett), che iniziò invece ad operare poco dopo quando il prezzo risalì a 1.558,50, inserendo un ordine di vendita superiore a 1,2 tonnellate di oro. Tutto ciò al fine di frenare la ripresa del prezzo aureo. Plunkett provò a ritirare il suo ordine, confidando in una fissazione del prezzo su questi valori, ma le quotazioni nei minuti successivi si mossero ancora verso 1.560 dollari, dunque al di sopra della soglia che avrebbe fatto scattare il pagamento al cliente. L'incauto trader entrò nuovamente in posizione con una vendita di 60.000 once (circa 1,8 tonnellate), finchè il prezzo fu confermato a 1.558,50 dollari l'oncia, appena al di sotto della fatidica soglia. La Banca non avrebbe dunque dovuto pagare il premio di 3,9 milioni. Plunkett dovette operare alcune operazioni di copertura dalle posizioni assunte, ma chiuse questa serie di mosse disoneste con un profitto superiore al milione e mezzo di dollari. Il tutto nel giro di una decina di minuti e, ovviamente, ai danni del cliente.

Dopo le proteste della controparte, beffata per pochi centesimi, Barclays decise di rimborsarla, aprendo anche un'indagine interna. Ma il dado era ormai tratto ed il regolatore pronto (con un certo ritardo) ad indagare su questi meccanismi manipolatori. L'inchiesta si concluse con una multa di 26 milioni di sterline (circa 30 milioni di euro) per la banca britannica, colpevole di non aver vigilato sulla condotta dei propri trader. Anche Plunkett fu sanzionato dall'FCA, con una multa prossima alle 100.000 sterline.

Fu in seguito a queste indagini che l'ambita poltrona del Fixing divenne via via più scottante, con le banche d'affari pronte ad abbandonarla per evitare ulteriori controlli del regolatore. Queste indagini diedero il via al processo di trasformazione del Fixing, che sfociò nella nascita del nuovo LBMA Gold Price, a partire dal 2015è.

Le grane legali, però, non sono l'unica problematica che aleggia sul mercato aureo londinese. La Brexit, infatti, agita le acque, complicando lo scenario. Ma forse il vero timore arriva ancora più da lontano, con la costante crescita del mercato asiatico ed i crescenti tentativi, sempre meglio strutturati, di organizzare benchmark aurei alternativi a quelli londinesi.

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