Nel jazz viene comunemente definito come “standard” un tema musicale così noto che col tempo è divenuto un classico e che tutti i musicisti e gli esecutori finiscono, prima o poi, per mettere in scaletta nelle loro esibizioni.

Ebbene, anche il metallo prezioso sembra essere considerato tale dai tedeschi, almeno stando ad un interessante articolo dedicato all’argomento da Frank Weibe sullo “Handelsblatt Global” (leggi qui il testo originale).

L'ORO RIMANE UNO 'STANDARD' INSOSTITUIBILE PER LA GERMANIA

Il ciclo delle opere di Richard Wagner dal titolo “L'anello del Nibelungo“ testimonia la tenace presa che l'oro ha da secoli, se non da millenni, sull'immaginario dei popoli tedeschi. Ma non spiega certo i motivi reali per cui la Repubblica Federale di oggi possiede il secondo più grande ètesoroè (o meglio, riserva aurea) del mondo, preceduta solo da quella degli Stati Uniti. Nè spiega perchè la Bundesbank abbia deciso, nel 2012, di rimpatriare quasi 700 tonnellate delle sue riserve auree detenute all'estero, portando il contenuto dei propri caveau alla metè delle 3.374 tonnellate di riserve totali.

Circa 92 tonnellate di metallo prezioso sono state trasportate dalla vicina Francia a Francoforte come parte di un recentissimo, controverso rimpatrio. èDal momento - sottolinea Weibe - che una delle funzioni delle riserve auree è quella di essere prontamente disponibile per l'acquisto di valute estere, ha senso avere ancora il 37 per cento delle riserve presso la Federal Reserve Bank di New York e il 13 per cento presso la Bank of England. Ma non aveva più senso lasciare l'oro alla Banque de France perchè la Germania e la Francia condividevano una valuta comune, l'euroè.

E pensare che la Germania non possedeva un solo grammo di metallo prezioso statale dopo il pagamento delle riparazioni della II Guerra mondiale. Il paese, in seguito, ha accumulato l'oro tramite ripetuti e cospicui surplus nella bilancia dei pagamenti prendendo in consegna metallo invece che valuta, come reso possibile dagli accordi di Bretton Woods.

Di recente, il membro del Consiglio esecutivo della Bundesbank Carl-Ludwig Thiele ha affermato, non senza un certo compiacimento, che la Germania detiene l'1,8 per cento del totale dell'oro mondiale. L'oro rappresenta il 70% delle riserve strategiche del paese, contro il 2% della Cina e il 6% della Svizzera.

Questa ''auri sacra fames'' nasce ben prima dell'iperinflazione degli anni di Weimar, che ha comunque rafforzato lo scetticismo tedesco sulla cartamoneta in modo traumatico. èQuando si parla di economia, del resto, molti tedeschi - scrive Weibe - sono assai conservatori, se non addirittura reazionari.

Oggigiorno, le eccedenze nei pagamenti si traducono nell'accumulo di riserve valutarie, così che la Cina, ad esempio, dispone di enormi riserve in dollari provenienti dal commercio con gli Stati Uniti. All'interno dell'Eurozona, tuttavia, gli avanzi e i disavanzi dei pagamenti sono regolati all'interno dell'Eurosistema delle banche centrali. Anche questo meccanismo, tuttavia, è oggetto di notevole scetticismo dalla parte della Germania.

Il possesso di lingotti d'oro appare ancora in Germania, sia a livello statale che di proprietè private, come un valore molto più tangibile. Ancor di più se quelle barre d'oro sono impilate in caveau entro i confini nazionali.

Questo era evidentemente il pensiero della Bundesbank nel 2012, quando il Federal Audit Office disse ai funzionari delle banche che dovevano effettuare controlli a campione sul fatto che le riserve auree detenute all'estero esistessero realmente. La banca centrale tedesca accolse subito il suggerimento iniziando a trasportare tonnellate di riserve nei suoi caveau. Inoltre, la Bundesbank iniziè a divulgare esatte informazioni sulle proprie riserve auree e su come e dove sono immagazzinate. E, di recente, anche una mostra aperta al pubblico sul ruolo e la storia del metallo prezioso ha contribuito a questo sforzo di trasparenza.

Per saperne di più sulla mostra, visitabile fino al 30 settembre a Francoforte, al Geldmuseum der Deutschen Bundesbank, clicca qui.

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