Il quantitativo record di oro esportato dall’Australia verso la Repubblica Popolare Cinese nel primo semestre dell’anno ha risuonato come un campanello d’allarme per vari analisti del settore economico e, in particolare, per tutti quelli che si occupano di metallo prezioso.
Secondo quanto riporta il portale 'GoldEagle' il 20 luglio (leggi qui il report completo), infatti, dietro le 57,4 tonnellate d'oro transitate - solo nel periodo tra gennaio e marzo - attraverso Cina e Hong Kong e partite dal paese dei canguri si leggerebbe l'ennesimo, forte segnale dell'intenzione di Pechino di dar vita - in un mondo dominato dalle fiat currency - ad una nuova valuta gold-backed, ossia supportata e garantita, come un tempo, da un sottostante di metallo prezioso.
Nel dettaglio le esportazioni oro australiano ne Q1 2017 sono andate verso Hong Kong e Cina per 57,4 tonnellate metriche, per 7 tonnellate nel Regno Unito, a Singapore 2,1 tonnellate, poco meno in India e Thailandia (2,0 e 2,0 tonnellate) e le restanti 4,5 in altri paesi del mondo. Guardando indietro, delle 83 tonnellate d'oro australiane esportate nel corso del Q4 2016, due terzi hanno fatto la strada verso Hong Kong e la Cina. “Quindi - fa presente l'approfondimento curato da SRSrocco - possiamo vedere chiaramente che la Cina importa più oro che ma dall'Australia. Ora, ciò che è ancora più interessante è che le esportazioni australiane riguardano più oro di quello che producono le miniere nazionali. E questo vale anche per gli Stati Uniti“.
Dati alla mano, Australia e USA hanno prodotto nel 2014 484 tonnellate complessive d'oro, e ne hanno esportate 789; nel 2015, la produzione dei due paesi è stata di 493 tonnellate mentre le esportazioni hanno ammontato a 776 tonnellate; nel 2016, infine, ad una produzione di 510 tonnellate ha fatto seguito una esportazione congiunta di 762 tonnellate. La sintesi è la seguente: due dei più grandi estrattori d'oro del pianeta (l'Australia è al secondo posto in classifica, gli Stati Uniti al terzo) hanno èdrenatoè ingenti quantitativi di metallo prezioso che conservavano finora entro i propri confini commercializzandoli all'estero e, in particolare, in Cina e ad Hong Kong.
Se a questi dati si aggiunge la solida, prima posizione della Cina stessa fra i paesi produttori d'oro del pianeta (con un quantitativo estratto probabile, ogni anno, tra le 450 e le 500 tonnellate) e il fatto che l'oro cinese, in pratica, non esce dai confini del grande paese, Pechino si va configurando come il più enorme 'forziere' del pianeta. Una situazione non dovuta solo ai consumi da parte dei privati ma, come sostengono molti analisti, ad una campagna silenziosa di accumulo di riserve auree da parte del governo centrale e delle grandi banche commerciali ad esso vincolate per garantire in futuro, allo yuan, un ruolo stabile e di leadership nel mercato mondiale delle valute grazie ad un nuovo Gold Standard in versione cinese.
All'operazione starebbe partecipando anche la Banca centrale russa che, non a caso, ha aperto la sua prima sede all'estero proprio a Pechino il 14 marzo scorso: un fatto che èsegna un passo in avanti nel forgiare un'alleanza Pechino-Mosca per bypassare il dollaro nel sistema monetario globale e nel formalizzare un sistema monetario globale alternativo basato di nuovo sull'oroè.
La Russia, del resto, è il quarto produttore di oro più importante del mondo ed è diventata un importante fornitore di metallo prezioso per la Cina, fondamentale nel possibile progetto di Pechino di assumere un ruolo leader nel mercato globale delle valute.