Gran parte delle civiltà umane hanno associato, nel corso dei millenni, il concetto di oro a quello di valore (legandolo, dunque, a quelli di denaro e moneta) a causa della rarità, dell’incorruttibilità e della lucentezza di questo metallo. La prima moneta che, tradizionalmente, si ritiene coniata in ambito mediterraneo è, non a caso, lo statere di Creso, re della Lidia, prodotto con l’elettro (una lega naturale di oro e argento) presente in alcuni fiumi della regione: risale al VII secolo prima di Cristo.

L’ABC DEL METALLO PREZIOSO

Anche nelle civiltà che non hanno attribuito al metallo giallo un ruolo di mezzo di scambio, né di misura o riserva di valore, l’oro ha rivestito comunque importanti ruoli simbolici, antropologici e rituali: certe popolazioni precolombiane, ad esempio, pur usandolo per la gioielleria impiegavano i semi di cacao come moneta, mentre in alcune regioni asiatiche – come ci ricorda anche Marco Polo ne “Il Milion” - erano le conchiglie, o i panetti di sale, ad assumere il ruolo di denaro al posto del metallo.

Il concetto di purezza dell’oro indica la frazione, o la percentuale di metallo prezioso presente in una lega. L'unità standard è chiamata carato, dal nome del seme di carruba: a 24 carati corrisponde l'oro puro. Un altro modo di indicare la purezza del metallo prezioso in lega consiste nell’esprimere una grandezza di valore compreso tra 0 e 1, con tre cifre decimali, oppure una frazione in millesimi. Parlare di oro a 18 carati equivale a dire che - in una certa quantità di lega - 18 parti su 24 sono oro e le altre 6 sono date da altri metalli, leganti. Ciò significa che 18/24 del peso, quindi 750 millesimi del totale (lo 0,750 del peso) è composto da oro.

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