Gli esperti d’Oltreoceano lo hanno classificato come un “Flash Crash”, ossia come un repentino e misterioso crollo: si tratta della contrazione del prezzo dell’oro in dollari fatta registrare a mercati chiusi, alle 4 di mattina (ora della Costa Orientale USA) dello scorso 27 giugno, a seguito della vendita sui circuiti internazionali di ben 1,8 milioni di once (circa 50 tonnellate) di metallo prezioso per un controvalore che ha sfiorato i 2,2 miliardi di dollari.
Mark O'Byrne analizza questo “caso esemplare“ dal momento che un evento del genere mostra in modo evidente come, a livello planetario, una serie di soggetti agiscano in modo diversi allo scopo tenere artificiosamente bassa la quotazione del metallo prezioso. “Tuttavia - fa presente l'analista dalle colonne del blog 'GoldCore' - questo tentativo di portare panico sui mercati si è tradotto in una perdita di appena lo 0,9% per il metallo e con conseguenze minime sugli indici azionari, e ciò rivela quanto sia robusta la natura del mercato reale dell'oro“.
“Viceversa - sottolinea O'Byrne - una vendita di pari entità effettuata, ad esempio, su cripto valute come Bitcoin avrebbe, con tutta probabilità, comportato un effetto domino sulle piazze finanziarie, con effetti ben più gravi e duraturi“.
O'Byrne, nel suo articolo (leggi qui la versione completa) coglie quindi l'occasione per fare il punto, a metè 2017, delle performance degli asset, delle valute e delle materie prime più scambiate: fanalino di coda il dollaro USA che ha perso il 5,49%, in rosso anche il cotone con un -4,49%. Nel primo semestre 2017, il platino si è apprezzato dell'1,89%, la sterlina del 3,4%, l'argento del 4,04% e il rame del 4,97%. Tra le valute, bene sia il dollaro australiano che quello neozelandese, meglio ancora l'euro (+6,78%) e a gonfie vele - con aumenti fino al +8,73% dello S&P500 - anche gli indici azionari.
A guidare la classifica, tuttavia, rimane il metallo prezioso con un +8,76% che ha portato di recente due colossi della finanza planetaria come Goldman Sachs e Citigroup a dichiararsi èrialzistiè nei confronti dell'oro.
Il cambio di rotta dei due gruppi è stato analizzato da Tyler Durden su “ZeroHedge“ (leggi qui e qui i due commenti completi). Per quanto riguarda Goldman Sachs, l'autore fa presente come a favorire una visione rialzista per il metallo prezioso siano tre elementi: l'aumento dei tassi USA con conseguente atteggiamento più “difensivo“ di una serie di grandi investitori; l'aumento del PIL globale con effetto positivo sul mercato aureo di quelle economie emergenti propense al consumo di oro; l'attesa di un nuovo picco produttivo nel 2017.
Citigroup, a supporto di una visione rialzista, porta invece unèanalisi basata su grafici storici di mercato dai quali si evidenzierebbero analogie con casi del passato a seguito dei quali, esaurita la propria influenza, i manipolatori al ribasso del mercato avrebbero lasciato spazio a fasi di fisiologico e naturale rialzo del prezzo dell'oro.