USA, E’ ALLARME PER LE BULLION COIN CONTRAFFATTE | Due membri del Congresso USA, i repubblicani Alex Mooney e Frank Lucas, hanno inviato una lettera urgente al Senato e alla US Mint, la zecca federale, in merito alla crescente presenza di monete in oro da investimento contraffatte sul mercato americano. I falsi, realizzati in lega calante o contenenti un’anima di metallo vile abilmente rivestita di uno strato d’oro, sembrano provenire soprattutto dalla Cina ma non solo.
I due membri del Congresso chiedono informazioni su se e in che misura la zecca degli Stati Uniti abbia adottato misure per proteggere l'integrità delle monete americane in metallo prezioso e processi sistematici di verifica delle bullion coin commerciate negli USA. Mooney e Lucas chiedono anche chiarimenti sui "ruoli svolti dai servizi segreti, delle dogane degli Stati Uniti e da altre agenzie federali nel rilevare le contraffazioni di monete statunitensi in metallo prezioso, auspicando una sistematica sinergia con la US Mint”. Per saperne di più leggi qui.
MINING DELL’ORO E DELLE BITCOIN: CHI CONSUMA PIU’ ENERGIA? | Un curioso studio a cura della società SRSrocco (leggi qui il testo completo) si spinge valutare quanta energia sia necessaria per il “mining” di una Bitcoin (la cripto valuta più nota al mondo) confrontandola con quella necessaria per l’estrazione del metallo prezioso. Una sorta di “match” tra il valore più tangibile e concreto del pianeta (l’oro) e quella che, da molti, è invece considerata la “bolla perfetta” del moderno sistema finanziario.
Per generare una Bitcoin, si è stimato che sia necessario l’equivalente di 10,1 barili di petrolio, contro gli 1,4 barili necessari per un’oncia d’oro. Un rapporto che si inverte se invece si considera la produzione annua complessiva delle due “specie”: mentre il metallo prezioso di nuova estrazione consuma l’energia equivalente a 123,2 milioni di barili di petrolio, il “mining” delle Bitcoin estratte in un anno richiede appena 6,6 milioni di barili equivalenti di greggio.
Valutando, infine, i prezzi in dollari dell’oncia d’oro e di una unità di cripto valuta si vede come la Bitcoin - che nel 2016 si è attestata poco sotto i 7.000 dollari e ne è “costata alla produzione” 1.800 circa - sembri garantire un favoloso margine di profitto ai “miner” rispetto all’oro che, lo scorso anno, ha fatto registrare un costo medio di estrazione per oncia di 1.115 dollari e un profitto per le compagnie estrattive di 136 dollari l’oncia in media.
“Non abbiamo niente contro Bitcoin” precisano gli analisti di SRSrocco. “Tuttavia - proseguono - Bitcoin ha bisogno di un sistema elettronico ad altissima tecnologia ed efficienza per funzionare. Sul fronte opposto, invece, qualsiasi persona che possieda un po’ d’oro può usarlo senza grandi difficoltà come denaro. […] Bitcoin funziona come attività elettronica se e solo se le macchine continuano a lavorare. Ora, prova a sbarcare a Porto Rico e vedi se qualcuno sarà disposto ad accettare Bitcoin. Tuttavia, se hai con te del metallo prezioso… sei pronto a fare un po’ di affari”.
CINA, E’ CRISI PRODUTTIVA PER IL SETTORE ESTRATTIVO | Strano a dirsi ma la Repubblica Popolare cinese, che pure rimane il principale paese acquirente di metallo prezioso nel mondo, ha fatto registrare nella prima metà del 2017 una brusca frenata nella produzione di oro da miniera con un calo che sfiora il 10% attestandosi ad appena 207 tonnellate contro le 230 del primo semestre del 2016. Lo scrive Mark O’Byrne (leggi qui l’articolo completo) sottolineando come le previsioni da qui a fine anno siano ancora peggiori: rispetto al picco del 2014, la produzione da miniere cinesi sarà più bassa almeno del 14%.
Tale calo dell'offerta potrebbe avere implicazioni significative anche per la fornitura di oro globale a causa del ruolo di primo piano di Pechino nel mercato dell'oro. Nel 2016 il paese ha prodotto 453 tonnellate di metallo prezioso, ben 160 - ossia il 56% - in più rispetto alla seconda nazione produttrice, l’Australia. Inoltre, la Cina guida saldamente la domanda globale dell'oro avendo sempre superato l'India negli ultimi cinque anni.