Mark O’Byrne, in un recente articolo pubblicato sulle colonne di “GoldEagle” (leggi qui il report completo), prende in esame il cosiddetto “Peak Gold”, ossia il picco fatto registrare non tanto dal prezzo del metallo prezioso sui mercati internazionali - i circa 1.861 dollari/oncia, pari a 1.331 euro/oncia dell’11 settembre 2011 - bensì dalla produzione dal settore minerario che rappresenta l’unico, reale fattore di incremento della disponibilità d’oro nel mondo.

“Peak Gold”, la più grande storia (mai) raccontata

Se, infatti, venisse a mancare di anno in anno del 'nuovo' metallo prezioso di fresca estrazione, il mercato sarebbe vincolato solo al quantitativo esistente e allocato presso banche centrali, banche commerciali, dealer, investitori e privati. Un fatto, questo, che porterebbe il settore del bullion ad essere influenzato in maniera ancor più marcata, rispetto ad oggi, non soltanto dalla domanda, ma anche dalla disponibilità dei possessori di metallo prezioso ad una vendita.

Per quanto riguarda il Sudafrica, a lungo scenario di primo piano nel settore minerario globale, O'Byrne fa notare come il paese, dopo aver iniziato una fase di boom produttivo nella prima metà degli anni Cinquanta - culminata, nel 1970, con una produzione record di circa 1.000 tonnellate metriche - abbia imboccato una fase di contrazione nell'estrazione di metallo prezioso fino a scendere a quantitativi che oscillano, negli ultimi anni, tra le 200 e le 250 tonnellate, nonostante l'impiego di tecniche estrattive sempre più moderne ed efficienti.

Due interessanti grafici a confronto mettono in parallelo, quindi, la scoperta di nuovi giacimenti - a livello planetario - tra il 1990 e il 2013 e l'estrazione di metallo prezioso tra il 2003 e il 2022 (abbinando, dunque, dati giè consolidati e scenari di previsione). Da questi si deduce che nel 2015 potrebbe essere essersi verificato il picco assoluto nella produzione globale d'oro, con una tendenza ad un progressivo e costante ribasso esteso anche ai prossimi anni e in relazione al fatto che - specie dal 2010 in poi - la scoperta di nuovi giacimenti si è ridotta in modo drastico.

Per quanto riguarda la Cina - come ben noto, l'attore più importante del mondo sia per volume d'oro estratto che per richiesta complessiva di metallo prezioso - l'analista fa presente come, nonostante le grandi compagnie minerarie cinesi continuino a fornire dati robusti sulla produzione e le riserve dei rispettivi siti estrattivi, tali cifre sarebbero in realtà 'gonfiate' dal momento che numerosi impianti del paese asiatico avrebbero orami esaurito la loro produttività e non sarebbero stati 'rimpiazzati' da giacimenti di più recente individuazione e convenienti da sfruttare.

Lo stesso tema viene affrontato anche da Byron King nel portale 'Daily Reckoning' (leggi qui il testo completo); l'autore sottolinea fra l'altro come le dieci major company mondiali nell'estrazione del metallo prezioso abbiano concentrato i loro sforzi negli ultimi anni, nel tentativo di migliorare i propri conti, non tanto sulla produzione ma sul taglio dei costi, limitando anche le campagne di prospezione alla ricerca di nuove miniere.

In questo modo, secondo King, si stanno accumulando ulteriori problemi per il futuro del mercato del metallo prezioso nel senso che ''una potenziale crisi del debito USA legato alle previsioni di spesa della presidenza Trump, le tensioni geopolitiche nel Sud-est asiatico e le prossime elezioni in Francia e Germania, senza contare imprevedibili eventi di portata globale, potrebbero portare nel futuro prossimo ad una impennata del prezzo dell'oro''.

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