Michael Cosares, dalle pagine del blog specializzato “GoldEagle” (leggi qui l’articolo completo) ci svela una pagina di storia del XX secolo che non tutti conoscono. In un approfondimento pubblicato lo scorso 6 settembre, infatti, ci ricorda che subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti possedevano la stragrande maggioranza della riserva aurea del pianeta, circa 22.000 tonnellate metriche in lingotti. Un quantitativo enorme che, nel 1945, corrispondeva a oltre l'80% dell'oro totale di proprietà di tutti gli Stati e le Banche centrali del mondo e che costituiva un formidabile strumento di potere economico e di influenza a livello globale. Attualmente, invece, gli USA detengono poco più di 8.000 tonnellate metriche di metallo prezioso, che rappresentano circa il 42% della riserva complessiva globale (ufficiale).

Quando gli Stati Uniti erano 'i padroni mondiali dell'oro'

A provocare la perdita di ben 14.000 tonnellate sono state, nel tempo, le operazioni condotte in difesa del prezzo di riferimento dell'oro a 35 dollari per oncia stabilito nell'ambito degli accordi di Bretton Woods del 1944. Agganciato ad un rapporto fisso con l'oro, il dollaro americano venne definito come equivalente ad un quantitativo costante di metallo prezioso, cioè 1/35 di oncia troy, e le altre valute del mondo furono per conseguenza vincolate al dollaro, con la possibilità solo di lievi oscillazioni. A Bretton Woods fu anche sancita la possibilità, tuttavia, per tutti i paesi firmatari di cambiare le rispettive riserve da dollari USA in oro ogni volta che ciò poteva rendersi necessario o rappresentare un'alternativa vantaggiosa rispetto alle riserve in valuta. "Il dollaro," usavano dire i politici americani "era buono come l'oro".

Il meccanismo funzionò in maniera ordinata, con poche richieste di riscatto dalla riserva aurea statunitense, fino agli anni Sessanta. Poi un gruppo di nazioni europee, guidato dalla Germania e dalla Francia, ritenendo che le politiche economiche inflazionistiche messe in atto negli USA stessero minando le basi del dollaro, si accorsero che cambiare l'oro a 35 dollari per oncia fosse a tutti gli effetti un ottimo affare. In altre parole, si giunse alla conclusione che il dollaro non era più buono come l'oro. Così, all'inizio degli anni Settanta, ben 14.000 tonnellate di oro - il 64% delle scorte USA - erano già uscite dai caveau del Tesoro americano facendo rotta verso il Vecchio continente, per non riattraversare mai più l'Oceano Atlantico.

Nel 1971 il presidente Richard Nixon decise di chiudere la cosiddetta “finestra dell'oro“, svalutando il dollaro contro il metallo prezioso e liberandone il corso nei confronti delle altre valute del pianta. Abrogando l'accordo di Bretton Woods Nixon dichiarò, in una delle citazioni più famose della sua presidenza, "Ora siamo tutti i keynsiani". L'era del denaro globale fiat, con un dollaro americano sempre più volatile come elemento centrale, ma fragile, era cominciata.

“Se gli Stati Uniti si fossero astenuti dalla difesa ad oltranza del benchmark di 35 dollari per oncia - ipotizza Cosares - il paese avrebbe ancora circa il 75% della riserva aurea globale, almeno 29.000 tonnellate“. L'analista completa il suo approfondimento con altri dettagli e con grafici che mostrano l'andamento nel tempo sia delle riserve ufficiali globali del pianeta che del quantitativo di quelle americane.

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