Nelle pagine di “BullionStar” (leggi qui il testo completo) il noto analista del settore metalli preziosi ha pubblicato, in data 23 settembre, un ampio dossier sulle riserve auree italiane sulle quali, in base alle informazioni rese disponibili attraverso il sito della Banca d’Italia, anche il nostro servizio news aveva dedicato spazio tempo fa (leggi qui l’articolo).
L'analisi di Manly, tuttavia, appare di un certo interesse dal momento che ricostruisce sia una serie di passaggi storici che alcuni dei contesti economico-finanziari dei quali l'oro italiano è stato protagonista nel corso del tempo. Innanzi tutto, l'autore sottolinea il buon livello di trasparenza con cui l'istituto di Via Nazionale comunica i dati in merito alle riserve auree italiane, sebbene alcuni dettagli non siano - come forse è d'obbligo - del tutto chiari.
In particolare, per quanto riguarda l'oro italiano allocato in Svizzera, non si riesce a capire bene - a questa domanda, l'Ufficio Stampa di Palazzo Koch ha ritenuto di non fornite risposte - se il metallo prezioso di proprietà italiana si trovi custodito a Basilea, presso la Bank for International Settlements (BIS) oppure presso la Banca Nazionale Svizzera (BNS) a Berna. Eè pur vero che tra le due istituzioni esiste uno stretto rapporto di cooperazione, anche per quanto riguarda l'uso dei rispettivi caveau per lo stoccaggio di lingotti e metallo prezioso in genere.
A sottolineare l'origine antica ed eterogenea delle riserve auree italiane - ben 2.451,8 tonnellate, secondo i dati più recenti - l'autore del dossier sottolinea come nelle “sacrestie“ di Bankitalia si trovino, fra gli altri, lingotti di origine sovietica, altri prodotti in Germania nel periodo nazista (rientrati a compensazione dopo la fine della II Guerra Mondiale), altri ancora di produzione statunitense.
Anche l'evoluzione delle riserve auree italiane, nel corso della storia, interessa Manly che ci ricorda, ad esempio, come esse ammontassero a 498 tonnellate di oro nel 1925, per poi scendere a 420 tonnellate nel 1930 e continuare a diminuire nel corso degli anni Trenta del secolo, scendendo a 240 tonnellate nel 1935, prima di un altro forte calo ad appena 122 tonnellate nel 1940 all'Inizio della II Guerra Mondiale. Con Roma e e il Nord Italia sotto l'occupazione tedesca, nel 1943, i nazisti fecero pressioni sull'allora governatore della Banca d'Italia Vincenzo Azzolini per spostare in Italia Settentrionale la scorta d'oro italiana. In totale, 119 tonnellate d'oro furono trasportate in treno da Roma ai depositi della Banca d'Italia a Milano, considerato una tappa intermedia in vista di un definitivo spostamento dell'oro italiano a Berlino.
Il governo della Repubblica Sociale Italiana che controllava il Nord Italia a quel tempo inizialmente resistette al piano tedesco, negoziando un compromesso che portò 92,3 tonnellate di oro ad essere stoccate nel Castello di Fortezza, vicino al confine con l'Austria e al Brennero. Alla fine il governo fascista capitolò alle richieste tedesche e 49,6 tonnellate di oro italiano furono trasferite da Fortezza alla Reichsbank di Berlino, seguite da altre 21,7 tonnellate in un secondo carico.
Interessante, infine, la parte dedicata a quando - per superare una delicata fase di crisi economica e monetaria - nel 1974 l'Italia trasferì nuovamente i diritti su propri lingotti per 2 miliardi di dollari dell'epoca alla Bundesbank, a garanzia di un prestito di pari valore. All'epoca, tuttavia, l'oro italiano non si mosse fisicamente: cambiò solo “proprietario“, temporaneamente, pur restando stoccato presso la Federal Reserve di New York.