“L’impero americano sarebbe collassato da decenni se non avesse abbandonato l’oro”: così titola un approfondimento pubblicato da “GoldEagle” il 10 gennaio. Un’analisi dettagliata che spiega perché gli Stati Uniti non saranno mai in grado di tornare indietro a quel Gold Standard abbandonato oltre quarant’anni fa.
''Se è vero - si legge nell'articolo - che alcuni analisti del settore continuano a suggerire di rivalutare l'oro (quotandolo fra i 15 e i 50 mila dollari per oncia!) in modo da 'riagganciare' il dollaro al metallo prezioso, neppure questo riuscirebbe a 'salvare la valuta americana'. Il dollaro viene spietatamente definito come un 'dead man walikng', un morto che cammina, a causa soprattutto dell'enorme - e sempre in crescita - debito federale USA''.
Interessante valutare, dal punto di vista del mercato del metallo prezioso, come dalla fine dell'era di Bretton Woods le riserve in dollari 'di carta' detenute dalle banche centrali del mondo siano cresciute in modo esponenziale fino al massimo storico di 12.032 trilioni di dollari (al 1è agosto 2014) per poi innescare una fase di decrescita che, al 28 ottobre scorso, le ha giè fatte scendere a 11.066 trilioni, con una contrazione pari al -8% in poco più di due anni.
Nel seguito dell'articolo segnaliamo - e poi capiremo perchè - un'interessante e, vedremo in seguito, utile grafico che riassume quella che è stata la produzione d'oro globale dalla scoperta dell'America ad oggi. Tra il 1493 e il 1600, ad esempio, si stima che l'estrazione complessiva di metallo prezioso sia stata di appena 714 tonnellate, per salire a 897 nel secolo 1600-1700, crescere fino a 1.908 tonnellate nel periodo 1700-1800, vivere un primo boom nel corso dell'Ottocento (11.461 tonnellate) e attestarsi, nel periodo 1900-2014, a ben 151.482 tonnellate, frutto dell'espansione - potremmo effettivamente definirla 'globalizzazione' - del settore minerario in continenti come Africa, Asia e Oceania, del rapido e decisivo progresso delle tecnologie di prospezione e di quelle estrattive.
Un'altra tabella mette a confronto il metallo prezioso con un'altra risorsa strategica e protagonista dei mercati, ossia il petrolio, calcolando il rapporto tra il costo/oncia dell'oro e il costo al barile del greggio negli anni Settanta. Nel 1970, prima della fine del Gold Standard, un'oncia di fino valeva 35,94 dollari e un barile di petrolio costava 1,86 dollari, per un rapporto di circa venti a uno. La fine delle regole di Bretton Woods portò, nel 1973, l'oro ad un prezzo medio di 97,32 dollari/oncia e il greggio a 3,29 dollari/barile, facendo schizzare il rapporto a trenta a uno. Nel seguito si è assistito, fino al 1980, a costanti incrementi dei due prezzi che hanno determinato un rapporto medio nel decennio di quattordici a uno.
Tale rapporto conduce ad un calcolo semplice, basato sulla media delle importazioni di petrolio negli USA negli anni Settanta (8 milioni di barili al giorno): se il dollaro fosse stato ancora agganciato all'oro, per importare tale quantitativo di greggio gli Stati Uniti avrebbero dovuto impiegare in un solo decennio - in teoria - valuta per un controvalore oro pari a 297.500 tonnellate, più di una volta e mezzo la produzione globale di metallo prezioso stimata dalla scoperta dell'America al 2014!
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Un altro articolo sull'inversione di tendenza nelle riserve valutarie globali è disponibile a questo indirizzo.