“L’oro è una piccola componente delle attività, ed è della Banca d’Italia, e non può essere utilizzato come finanziamento monetario delle attività del ministero dell'Economia”. Lo ha chiarito il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, durante il Board Forum 2019 organizzato a Milano da Spencer Stuart Inc. il 4 marzo.
Le riserve auree dell'istituto ammontano “tra gli 80 e i 90 miliardi di euro, a seconda delle oscillazioni del prezzo” - ha ricordato Visco – “questi 85 miliardi sono parte delle attività complessive di Bankitalia per 900 miliardi” e dunque l'oro rappresenta “meno del 10% del totale”.
Dichiarazioni che appaiono essere un riferimento alla notizia, circolata sulla stampa italiana qualche settimana fa, secondo cui il governo avrebbe allo studio la vendita di parte delle riserve auree della Banca d'Italia per scongiurare l'aumento dell'Iva nel 2020 (ipotesi successivamente smentita a più riprese da fonti del governo). A entrare nel merito della questione era stato Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, che sempre alla stampa aveva spiegato la mancanza di una norma sulla proprietà delle riserve auree, invocando un intervento legislativo per disciplinare la materia.
Su questo punto le parole di Visco sembrano essere una risposta chiarificatrice: "La Banca d'Italia è un ente pubblico, punto. Non è di proprietà di alcune banche private, come qualcuno dice. È pubblica la Banca d'Italia e i dipendenti della Banca d'Italia svolgono un pubblico servizio".
La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Il quantitativo totale di oro di proprietà dell’Istituto, a seguito del conferimento alla BCE di 141 tonnellate, è pari a 2.452 tonnellate (metriche), costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e per una parte minore da monete.