In un mercato globale del metallo prezioso che sta attraversando un periodo di luci e ombre e in cui gli andamenti del fixing in dollari USA e in euro si evolvono praticamente in parallelo, sono le banche centrali a rappresentare ancora uno degli elementi dinamici del mercato dell’oro.
Così, il World Gold Council, come da tradizione ha diramato pochi giorni fa un bollettino semestrale che prende in esame i flussi di metallo prezioso movimentati dalle autorità monetarie pubbliche del pianeta (leggi qui il documento completo).
“L'oro - fa presente l'analisi del WGC nel paragrafo di premessa - è una parte importante delle riserve di valuta estera (FX) di tutte le banche centrali. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), alla del primo semestre 2018 le banche centrali erano in possesso, in totale, di 1,36 trilioni di dollari USA allocati in metallo prezioso, pari a circa il 10% delle riserve valutarie globali. E le banche centrali sono anche un elemento importante del mercato dell'oro: nel primo semestre del 2018 hanno infatti rappresentato ben il 10% della domanda globale di fisico. Una vivace richiesta nel segno della diversificazione che continuerà ad essere un importante motore della domanda di oro, come sarà elemento portante nella transizione verso una valuta multipolare di riserva nei prossimi anni“.
In cifre, le banche centrali del pianeta hanno aggiunto nel primo semestre dell'anno, a livello ufficiale, 193,3 tonnellate metriche di metallo prezioso alle rispettive riserve: si tratta di un robusto +8% rispetto alle 176,8 tonnellate dello stesso periodo del 2017. Si tratta inoltre, secondo i dati del WGC e dell'FMI, del miglior primo semestre dal 2015 a questa parte.
Per quanto riguarda i paesi acquirenti, è da notare come l'accumulazione di ulteriori riserve auree nell'H1 2018 si sia concentrata su pochi soggetti: Russia, Turchia e Kazakhstan da soli, infatti, si sono accaparrati l'86% degli acquisti.
Tuttavia, anche nuovi soggetti sono entrati o rientrati nel mercato dopo anni di inattività. Il report fa presente, ad esempio, come l'Egitto abbia acquistato oro di riserva per la prima volta dopo decenni (l'ultima volta fu nel lontano 1978), come pure India, Indonesia, Thailandia e Filippine siano rientrate sul mercato dopo anni di assenza.
Una tabella delle banche centrali acquirenti che copre tutto il 2017 e il Q1 2018 vede in testa la Russia con 383,3 tonnellate seguita dalla Turchia con 125,8 e dal Kazakhstan con 68,4. Staccata, al quarto posto, la Reserve Bank of India (RBI), che in diciotto mesi ha incamerato 15,3 tonnellate di metallo prezioso; tra gli altri paesi citiamo la Mongolia con 5,0 tonnellate di acquisti e l'Egitto con 1,7. Dati da considerare, talvolta, come parziali dato che ad esempio Bloomberg riporta come negli ultimi otto mesi sarebbero ben 12,2 le tonnellate d'oro messe a riserva dalla Mongolia.
Elementi chiave di questa vivace domanda d'oro da parte delle banche centrali, fa sapere il WGC, sono innanzi tutto - specie per le autorità dei paesi emergenti - la necessità di ridurre l'esposizione nei confronti del dollaro USA a favore di una forma di “denaro naturale“ e svincolato dalle valute quale l'oro, da millenni, si rivela. Del resto le incertezze e il debito americani, il ruolo ancora da definire dello yuan renminbi, i problemi della sterlina nella fase Brexit e la fragilità politica dietro l'euro consigliano molti governi ad orientarsi sull'oro.
Per paesi emergenti, ma anche per le banche centrali di economie in difficoltà, il metallo prezioso si rivela infine come una sorta di salvagente dato che può essere impiegato in swap e altre operazioni tampone per evitare crisi improvvise di liquidità o limitare gli effetti di attacchi alle valute nazionali. Eè quello che ad esempio stanno facendo, con successo, paesi come l'Argentina e l'Ungheria.